Marcelo Damiani
La nave dei pirati attraccò davanti casa. I marinai gettarono l’ancora intorno all’albero del vicino e si fermarono lungo la strada guardando all’orizzonte con sguardo malefico. Poco dopo scese il capitano e bussò alla mia porta; aprii, e lui entrò senza troppi preamboli e si sedette al bar distrutto che mi era rimasto da un racconto incompiuto di cow-boy. “Lei è uno scrittore, giusto?” mi chiese in una lingua sconosciuta; per fortuna entrambi maneggiavamo lo stesso codice letterario. “No; sono uno sceneggiatore”, risposi. “Fa lo stesso”, disse, “ci serve qualcuno con molta immaginazione”. “I critici dicono che non ne ho affatto”, avvisai. “Bene”, mormorò pensoso, “è un buon segno”. Fece una pausa; prese un bicchiere di whisky che era lì vicino, e mi guardò. “Io e la mia ciurma abbiamo un problema. Sono anni che non troviamo una buona avventura. Nessuno vuole farci spazio nelle sue storie, dicono che ormai non serviamo più a niente perché siamo passati di moda… Perciò abbiamo deciso di procurarci noi uno scrittore”. Ci mancava solo questa, pensai: Pirati con problemi esistenziali. “Guardi”, gli dissi, “i racconti di avventura non sono la mia specialità”. “Questo a noi non interessa”, borbottò, “ci metta pure nel genere che preferisce”. Si alzò in piedi bruscamente, andò verso la porta e aggiunse: “Ha tempo una settimana. E non provi a ingannarci. I due scrittori che ci hanno provato non sono più in grado di scrivere”. E se ne andò.
Quindi, nel dubbio, iniziai a scrivere questo racconto.
Traduzione dallo spagnolo di Maria Basso & Cannetrusca.
La versione originale è qui.